Silvia Cassetta

Perimetri

Le misure sono nate per definire qualcosa e renderlo comprensibile, o forse vivibile. Non siamo nulla senza un limite da superare, senza un confine da cui uscire, senza una misura da memorizzare… Noi stessi siamo un ‘confine’, per gli altri e per noi… 

vuoto

  un giorno scattai questa foto di un mare lontano, oggi ho parole nuove che cancellano ricordi per creare un vuoto rigeneratore … (Roma, 17 Aprile 2020)  

IN/FORMAL

  Vince la Corea, il più concettuale è il Chile,  ma il più urbanistico e storico è il Perù,   Il Chile, sembra il più carino: vivaci i colori e suggestivo per il contrasto tra l’ingresso tradizionale di una casa tipica e il modulo in cemento scaraventato lì come fosse un meteorite, nella parte espositiva vera e propria. Ma ‘carino’ non è un termine che si addice all’architettura …      La biennale severa dedicata all’architettura e non agli architetti ci ha insegnato che ciò che conta è analizzare problemi sociali e provare a risolverli, ci riesce molto bene il Perù che si occupa esclusivamente dell’architettura residenziale collettiva. Un padiglione, molto architettonico nel volume,  che ripercorre, in maniera chiara la storia dei principali insediamenti urbani, è stato quasi accademico nell’esposizione dei progetti; “In/formal”, questo il titolo, spiega un argomento tipico, ma molto attuale, la coesistenza di formale ed informale nelle città.  In questo padiglione si comprende bene come ci siano delle energie sociali che agiscono direttamente e fisicamente sul territorio,  oltre la pianificazione e la regolamentazione urbana. Il Perù spiega quello che è successo… (anche in Italia), la coesistenza tra formale ed informale, ovvero tra un’ espansione spontanea sociale necessaria e collettiva e la “mano libera” degli investitori privati mossi da obiettivi capitalistici. Non è simile a molte realtà attuali? Gli sviluppi spiegati in questo padiglione sono: l’ “unidad vecinal” +”invasion“, entrambe stesso obiettivo, di origini opposte, convergono nel 1946 e cercano di rispondere alla crisi degli alloggi , progetti urbani da una parte ed occupazione di case dall’altra. L’ occupazione della collina di San Cosme a Lima, è la testimonianza di come se l’urbanistica non risolve le esigenze sociali, la gente si avvale del diritto necessario dell’occupazione, quindi il reato dell’ invasione diventa una necessità…         Il padiglione più romantico, quello dell’Ungheria: un’installazione con mollette sui cui disegnare personalmente da lasciare appese come ricordo, evocava il concetto pedagogico dell’architettura partecipata… in cui ognuno, con la sua molletta, contribuisce a rendere la costruzione completa solo alla fine…    Fundamentals 2014 si è conclusa… ha spiegato, non celebrato. La speranza  è che l’architettura  possa, anche, risolvere funzioni sociali, con maggiore consapevolezza dei luoghi e delle  esigenze delle persone, i fondamentali ora li dovremmo conoscere…

scatti inaspettati

“Spiandola” e fermandola mentre scattava … ho avuto la fortuna, per una casualità nel padiglione “Espana”, di conoscere la bravissima fotografa Alessandra Chemollo e mi si è aperto un mondo in cui architettura e fotografia s’incontrano. Onorata di avere un suo scatto inaspettato di me  immersa nell’architettura …  Architetto di formazione, la Fotografa si è laureata presso l’Università IUAV di Venezia nel 1995, con una tesi sulla relazione tra architettura e fotografia nel contemporaneo.  E’ una delle protagoniste di  SisMyCity     http://www.sismycity.com/   progetto fotografico sulle conseguenze del sisma che ha colpito L’Aquila e il suo territorio nel 2009.   La fotografia, in questo caso,  fa gridare alle rovine la necessità di reagire e di ricostruire… Altro Suo progetto  è  “Ma quale architettura”  http://www.fuorivista.org/portfolio/ma-quale-architettura/ Riporto qui il  sito di Orsenigo – Chemollo che è davvero interessante …  perchè le vere foto non si spiegano, parlano da sole … Grazie ad Alessandra Chemollo www.orsenigochemollo.comwww.fuorivista.orglachemollo@fastwebnet.it  

una Biennale Severa addolcita dalla Danza

Una Biennale d’Architettura come l’Architettura dovrebbe essere… ci voleva Rem Koolhaas per mettere in ordine i FONDAMENTALI elementi che compongono gli spazi e per ricordare agli architetti che conta piu’ il progetto che essere archistar, conta piu’ la composizione delle città che le sculture architettoniche.     Le critiche erano scontate … ma io credo che questa Biennale sia  RIBELLE, perchè azzera tutto il frastuono del “design laccato” che ci circonda e finalmente fa tabula rasa. Sollecita un po’ la coscienza degli architetti… Al termine del primo giorno di visita ho deciso di tornare di nuovo il secondo perchè un giorno non basta… bisogna perdersi e lasciarsi bombardare da tutte quelle informazioni che alla fine ti confondono ma ti  IMpongono delle domande.  “Fundamentals” il titolo… perchè abbiamo perso i fondamentali, distratti da tutto il caos che sovrappone l’effimero all’essenziale…. FUNDAMENTALS, che ricorda anche nel nome le Fondamenta di Venezia, è divisa in: Elements of Architecture (dove sono esposti gli elementi fondamentali dell’architettura… è quasi un catalogo in scala 1:1) Absorbing Modernity        (come i principali Paesi hanno reagito e costruito la modernità… è quasi una fiera) Monditalia   (come l’Italia ha espresso la sua Architettura… è la parte piu’ poetica in cui si  assiste alle prove degli                   spettacoli  della sessione danza diretta da Virgilio Sieni)                      La Danimarca  ci ricorda che alcuni dei principali elementi di estetica sono connessi alla natura, legni, profumi e il candore del bianco ci conducono verso un mondo semplice, bianco e naturale.       L’Architettura è una cosa Seria….che necessita di poche regole, le piu’ essenziali, le piu’ decise… La fluidità e la poesia sono lasciate alla danza, che sembra dare il giusto equilibrio allo spazio, lo  risolve e forse gli conferisce un’ identità persa. La Danza restituisce  i rapporti tra pareti anonime che compongono spazi … perchè;   l’ architettura, in fondo,  ha bisogno della Vita per essere felice …    

Fotografare con la luce

      Anni ’80…Fotografare con la  luce, ecco un video delle opere di Stefano Moretti. Senza un diaframma, fotografare impressionando l’immagine con la luce, sulle orme di Man Ray, attraverso un metodo non piu’ utilizzato, dimenticato…che vogliamo ricordare.       

Il valore della Pausa

una Pausa custodisce sentimenti piu’ delle parole, dà consistenza alle note, rafforza …  

spazi d’acqua

……uno spazio che sia sott’acqua, rende tutto diverso, una vasca ornamentale o una semplice piscina, possono arricchire un’architettura. Nell’acqua inizia la Vita, la parola Battesimo deriva dal greco baptein che significa immergere nell’acqua, e nel rito ebraico l’immersione di purificazione avveniva in una vasca d’acqua piovana chiamata mikvè. L’acqua attutisce i movimenti, puo’ cullare e farci rilassare, puo’ proteggere il corpo, puo’alleviare il dolore, infatti il parto piu’ lieve e meno traumatico per un bimbo  è quello in acqua. La Vita è custodita per i primi nove mesi nel liquido amniotico, la dimensione dell’aria è dunque la piu’ sconosciuta appena si nasce. Sott’acqua si pensa anche diversamente, perchè si è sospesi in un ambiente che non è favorevole alla nostra respirazione ma che ci permette una piccola rinascita ogni volta. L’Architettura ha bisogno dell’acqua, di avere una luce diversa, filtrata e riflessa, in continuo movimento, in alcuni spazi,  grazie all’acqua,  si ottengono dei colori speciali e dei suoni piu’ soft, ma intensi……

senzAmare non c’è Spazio

Righe d’Architettura come fossero Scatti fotografici. “Le architetture stagionali, cambiano con il tempo e trattengono i ricordi, sono vivaci e rumorose quando splende il sole, silenziose e custodi di poesia durante l’inverno” (s.c.)   “Il mare mi sembrava una concrezione, la capacità di costruire una forma geometrica e misteriosa, fatta di ogni ricordo e attesa. Forse proprio un verso liceale di Alceo mi aveva condotto all’architettura. – O conchiglia marina/figlia della pietra e del mare biancheggiante/ tu meravigli la mente dei fanciulli. – La citazione è circa questa e contiene i problemi della forma, della materia, della fantasia, cioè della meraviglia. Ho sempre pensato che ridurre l’origine dei materiali a qualche senso positivista costituisse un’alterazione sia della materia che della forma. […] Le cabine erano un’architettura perfetta, ma anche si allineavano lungo la sabbia e strade bianche in mattine senza tempo e sempre eguali. Posso ammettere che esse rappresentano qui un aspetto particolare della forma e della felicità: la giovinezza. Ma questa questione non è essenziale anche se è legata agli amori e alle stagioni marine”. Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pagg. 34-35.   “Le cabine possiedono rigidamente quattro pareti e un timpano; vi è nel timpano qualcosa che non è soltanto funzionale, come allo stesso modo esso presuppone una bandiera e presuppone il colore. Il colore a strisce è una parte integrante, riconoscibile, forse la parte piu’ dichiaratamente architettonica. Essa soprattutto ci rende coscienti che all’interno vi deve essere una vicenda e che in qualche modo alla vicenda seguirà lo spettacolo. Come quindi separare la cabina da un altro suo senso: il teatro? Da  questi disegni nasceva il teatrino scientifico del 1979 e proprio la sua funzione mi spingeva a chiamarlo scientifico”. Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 58. “Perchè nell’edificio tutto è previsto ed è questa previsione che permette la libertà; è come un appuntamento, un viaggio d’amore, una vacanza e tutto ciò che è previsto perchè possa accadere”. […]   Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 82. “Ora mi sembra di capire meglio i progetti compiuti o di compierli meglio quando le loro motivazioni si allontanano. Nell’attaccamento all’immagine mi sembra spesso che la vita di quest’immagine, o di una cosa, o di una situazione o di una persona è come una condizione di disturbo per esprimerla. Cioè tutto questo è rappresentabile quando, usero’ questo termine che puo’ prestarsi a molte confusioni, il desiderio è morto. Cosi’ quasi paradossalmente la forma, il progetto, una relazione, l’amore stesso si stacca da noi ed è rappresentabile quando perde il desiderio. Non so quanto questo sia allegro o malinconico ma è certo che il desiderio è qualcosa che sta prima o che vive in senso generale solo del presente; non puo’ coesistere con nessuna tecnica o con nessun rito”. Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 83. “Per questo ogni presa di coscienza delle cose si confondeva con il gusto di poterle abbandonare, di una sorta di libertà che sta nell’esperienza, come un passaggio obbligato perchè le cose avessero la loro misura”. Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag.113 . “Il segno delle persone, delle cose senza significato e che affermano di non cambiare; questa mutazione avviene in effetti ma è sempre terribilmente inutile. I cambiamenti sono interni allo stesso destino delle cose poichè nell’evoluzione vi è una regolare fissità. Sono forse questi i materiali delle cose e dei corpi e quindi dell’architettura. L’unica superiorità della cosa costruita e del paesaggio è questo permanere oltre le persone.[…] Un progetto è una vocazione o un amore, nei due casi è una costruzione; potete arrestarvi di fronte alla vocazione o amore ma rimane sempre questa cosa irrisolta[…]” Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 76. “Per questo ogni presa di coscienza delle cose si confondeva con il gusto di poterle abbandonare, di una sorta di libertà che sta nell’esperienza, come un passaggio obbligato perchè le cose avessero la loro misura”. Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 113. ” Di ogni progetto potremmo dire come di un amore incompiuto: adesso sarebbe piu’ bello”. “Amo l’inizio e la fine delle cose: ma forse soprattutto le cose che si spezzano e si ricompongono” . Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 117

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