Silvia Cassetta

IN/FORMAL

  Vince la Corea, il più concettuale è il Chile,  ma il più urbanistico e storico è il Perù,   Il Chile, sembra il più carino: vivaci i colori e suggestivo per il contrasto tra l’ingresso tradizionale di una casa tipica e il modulo in cemento scaraventato lì come fosse un meteorite, nella parte espositiva vera e propria. Ma ‘carino’ non è un termine che si addice all’architettura …      La biennale severa dedicata all’architettura e non agli architetti ci ha insegnato che ciò che conta è analizzare problemi sociali e provare a risolverli, ci riesce molto bene il Perù che si occupa esclusivamente dell’architettura residenziale collettiva. Un padiglione, molto architettonico nel volume,  che ripercorre, in maniera chiara la storia dei principali insediamenti urbani, è stato quasi accademico nell’esposizione dei progetti; “In/formal”, questo il titolo, spiega un argomento tipico, ma molto attuale, la coesistenza di formale ed informale nelle città.  In questo padiglione si comprende bene come ci siano delle energie sociali che agiscono direttamente e fisicamente sul territorio,  oltre la pianificazione e la regolamentazione urbana. Il Perù spiega quello che è successo… (anche in Italia), la coesistenza tra formale ed informale, ovvero tra un’ espansione spontanea sociale necessaria e collettiva e la “mano libera” degli investitori privati mossi da obiettivi capitalistici. Non è simile a molte realtà attuali? Gli sviluppi spiegati in questo padiglione sono: l’ “unidad vecinal” +”invasion“, entrambe stesso obiettivo, di origini opposte, convergono nel 1946 e cercano di rispondere alla crisi degli alloggi , progetti urbani da una parte ed occupazione di case dall’altra. L’ occupazione della collina di San Cosme a Lima, è la testimonianza di come se l’urbanistica non risolve le esigenze sociali, la gente si avvale del diritto necessario dell’occupazione, quindi il reato dell’ invasione diventa una necessità…         Il padiglione più romantico, quello dell’Ungheria: un’installazione con mollette sui cui disegnare personalmente da lasciare appese come ricordo, evocava il concetto pedagogico dell’architettura partecipata… in cui ognuno, con la sua molletta, contribuisce a rendere la costruzione completa solo alla fine…    Fundamentals 2014 si è conclusa… ha spiegato, non celebrato. La speranza  è che l’architettura  possa, anche, risolvere funzioni sociali, con maggiore consapevolezza dei luoghi e delle  esigenze delle persone, i fondamentali ora li dovremmo conoscere…

aRoma Snøhetta

   Il nome di una vetta, il volto di un simple man, l’umiltà di un grande per insegnarci molto… Craig Dykers di Snøhetta Non una conferenza… ma “Conversation” con Pippo Ciorra,  in una sede Madre, per  architetti romani e non,  la Casa dell’Architettura, nell’ Acquario Romano. “American Academy in Rome” e l’Ambasciatore Norvegese  hanno reso il tutto degno dell’incontro con l’internazionale studio di C. Dykers.     Pippo Ciorra e Craig Dykers   “Bisogna pensare con il corpo, se pensi solo con la testa non stai creando nulla….” una delle prime frasi di Craig Dykers nella “conversation” con Pippo Ciorra, per sintetizzare il concetto che quando si progetta è necessario il confronto con materiali, modelli, spazio, manualità.    L’esponente americano dello studio di OSLO, con sede anche a New York,  inizia facendoci vedere non un mega- progetto…ma cosa avviene nel welcoming del suo studio: appena si entra si può degustare birra… o servirsi alla reception-bar,  il lavoro con i modelli è un must per il controllo del progetto… i suoi collaboratori lavorano-disegnano esattamente sui medesimi tavoli dove mangiano nell’open space…. Come se l’architettura fosse un modo di vivere e non un lavoro…. e secondo me è esattamente un modo di vivere e affrontare la vita. Vincitore del concorso per la biblioteca di Alessandria d’Egitto nell’89, lo studio affronta temi internazionali delicati come il museo nell’area di Ground-Zero a New York. Dykers mostra progetti dove non c’è solo il confronto con lo spazio pubblico, ma con la memoria di eventi storici e politici, in cui all’architettura è affidato il compito di rappresentare e ricordare.  Ci vuole in questi casi uno studio con un’anima umile e grande che abbia come atteggiamento…. quello di “cambiare sempre restando sempre coerenti “… è  Ciorra che etichetta il lavoro di Craig Dykers con questa frase.                                   Memorial Museum a Ground Zero  Lo studio Snøhetta, infatti, soddisfa pienamente la critica usualmente severa di Ciorra che sottolinea con pochissime frasi un merito che ogni architetto dovrebbe avere: quello di NON creare un lunguaggio celebrativo per se stessi, ma di pensare a progetti che si adattino, reagiscano alle condizioni del progetto  e non siano rigidamente concentrati sull’architettura in sé. Forse bisognerebbe fare architettura dimenticandosi di un linguaggio architettonico, ma semplicemente rispondendo a delle questioni… che i luoghi pongono, ma prima ancora le persone.  L’Opera House di Oslo è emblematica e poetica, il progetto per Time Square a NY darà finalmente la possibilità ai cittadini di appropriarsi di arredi progettati per loro e non di sedersi casualmente dove capita in una delle piazze piu’ frequentate del pianeta.    dettaglio Opera House di Oslo     progetto per Time Square, NY    Lo studio di Craig Dykers è davvero concentrato su tutte le dimensioni….progetti urbani, architettonici e piccole fontane per gatti…hanno il medesimo valore…come quello della grafica di una banconota, la “Corona” Norvegese… ispirata all’ acqua : disegnata in singole grafiche. Messi in fila tutti i tagli, apparirebbe una strana specie di paesaggio…     Bello lo studio Snøhetta,  solido come un boscaiolo scandinavo, cool come un Dj !        http://snohetta.com/ http://www.aarome.org/ http://www.casadellarchitettura.it/acquario-romano-srl/    5 novembre 2014 …. remember to “start with my second thought”…

close
silviacassetta a roma, RM, IT su Houzz