senzAmare non c’è Spazio

Righe d’Architettura come fossero Scatti fotografici. “Le architetture stagionali, cambiano con il tempo e trattengono i ricordi, sono vivaci e rumorose quando splende il sole, silenziose e custodi di poesia durante l’inverno” (s.c.) “Il mare mi sembrava una concrezione, la capacità di costruire una forma geometrica e misteriosa, fatta di ogni ricordo e attesa. Forse proprio un verso liceale di Alceo mi aveva condotto all’architettura. – O conchiglia marina/figlia della pietra e del mare biancheggiante/ tu meravigli la mente dei fanciulli. – La citazione è circa questa e contiene i problemi della forma, della materia, della fantasia, cioè della meraviglia. Ho sempre pensato che ridurre l’origine dei materiali a qualche senso positivista costituisse un’alterazione sia della materia che della forma. […] Le cabine erano un’architettura perfetta, ma anche si allineavano lungo la sabbia e strade bianche in mattine senza tempo e sempre eguali. Posso ammettere che esse rappresentano qui un aspetto particolare della forma e della felicità: la giovinezza. Ma questa questione non è essenziale anche se è legata agli amori e alle stagioni marine”. Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pagg. 34-35. “Le cabine possiedono rigidamente quattro pareti e un timpano; vi è nel timpano qualcosa che non è soltanto funzionale, come allo stesso modo esso presuppone una bandiera e presuppone il colore. Il colore a strisce è una parte integrante, riconoscibile, forse la parte piu’ dichiaratamente architettonica. Essa soprattutto ci rende coscienti che all’interno vi deve essere una vicenda e che in qualche modo alla vicenda seguirà lo spettacolo. Come quindi separare la cabina da un altro suo senso: il teatro? Da questi disegni nasceva il teatrino scientifico del 1979 e proprio la sua funzione mi spingeva a chiamarlo scientifico”. Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 58. “Perchè nell’edificio tutto è previsto ed è questa previsione che permette la libertà; è come un appuntamento, un viaggio d’amore, una vacanza e tutto ciò che è previsto perchè possa accadere”. […] Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 82. “Ora mi sembra di capire meglio i progetti compiuti o di compierli meglio quando le loro motivazioni si allontanano. Nell’attaccamento all’immagine mi sembra spesso che la vita di quest’immagine, o di una cosa, o di una situazione o di una persona è come una condizione di disturbo per esprimerla. Cioè tutto questo è rappresentabile quando, usero’ questo termine che puo’ prestarsi a molte confusioni, il desiderio è morto. Cosi’ quasi paradossalmente la forma, il progetto, una relazione, l’amore stesso si stacca da noi ed è rappresentabile quando perde il desiderio. Non so quanto questo sia allegro o malinconico ma è certo che il desiderio è qualcosa che sta prima o che vive in senso generale solo del presente; non puo’ coesistere con nessuna tecnica o con nessun rito”. Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 83. “Per questo ogni presa di coscienza delle cose si confondeva con il gusto di poterle abbandonare, di una sorta di libertà che sta nell’esperienza, come un passaggio obbligato perchè le cose avessero la loro misura”. Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag.113 . “Il segno delle persone, delle cose senza significato e che affermano di non cambiare; questa mutazione avviene in effetti ma è sempre terribilmente inutile. I cambiamenti sono interni allo stesso destino delle cose poichè nell’evoluzione vi è una regolare fissità. Sono forse questi i materiali delle cose e dei corpi e quindi dell’architettura. L’unica superiorità della cosa costruita e del paesaggio è questo permanere oltre le persone.[…] Un progetto è una vocazione o un amore, nei due casi è una costruzione; potete arrestarvi di fronte alla vocazione o amore ma rimane sempre questa cosa irrisolta[…]” Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 76. “Per questo ogni presa di coscienza delle cose si confondeva con il gusto di poterle abbandonare, di una sorta di libertà che sta nell’esperienza, come un passaggio obbligato perchè le cose avessero la loro misura”. Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 113. ” Di ogni progetto potremmo dire come di un amore incompiuto: adesso sarebbe piu’ bello”. “Amo l’inizio e la fine delle cose: ma forse soprattutto le cose che si spezzano e si ricompongono” . Aldo Rossi, 1999, “Autobiografia Scientifica”, Pratiche Editrice, Milano, pag. 117
Follia Pura è l’abbandono dei Folli
Righe d’Architettura come fossero Scatti fotografici. Qual è il limite oltre il quale si è abbastanza SAGGI per essere diversi e abbastanza FOLLI per difendersi dal diverso?…..Non c’è confine, talvolta, se non un filo sottile di sensibilità che guidi e protegga lo spazio piu’ prezioso, fragile e segreto: l’interiorità… …ed è in quello spazio che si puo’ trovare la dimensione dell’ordine delle cose perdendone i nessi, tra ritmi incostanti, asimmetrie e colori sfuocati….(s.c.) Foto di Yvonne De Rosa dal progetto “Crazy God” <<Allora il trionfo della follia si annuncia di nuovo in un doppio ritorno: in un riflusso della sragione verso la ragione che non afferma la propria certezza se non in un possesso della follia; e in una risalita verso un’esperienza in cui l’una e l’altra si implicano indefinitamente: “non essere folle significherebbe esserlo solo secondo un’altra forma di follia…”>>. Foucault Michel, 1976, Storia della follia nell’età classica, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 287. <<Se i folli avviliscono coloro ai quali si ha l’imprudenza di mescolarli, bisogna riservare loro un internamento speciale; internamento che non sarà medico, ma che deve essere la forma di assistenza più efficace e più dolce: “fra tutte le sventure che affliggono l’umanità, la follia è una di quelle che a maggior diritto impongono pietà e rispetto; alla follia è più che giusto siano prodigate molte cure; quando si dispera della guarigione, quanti modi restano ancora, quante attenzioni, quante buone cure che possono procurare a questi infelici almeno un’esistenza sopportabile!”. In questo testo lo statuto della follia appare nella sua ambiguità: bisogna a un tempo e proteggere dai suoi pericoli la popolazione internata e accordarle benefici di un’assistenza speciale.>> Foucault Michel, 1976, Storia della follia nell’età classica, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 357. <<Ma la follia di un atto si giudica proprio dal fatto che nessuna ragione può mai esaurirla. La verità della follia consiste in un automatismo senza concatenazione; e più un atto sarà privo di ragione, più risiederà nel determinismo della sua follia, essendo la verità della follia nell’uomo la verità di ciò che è senza ragione, di ciò che avviene, come diceva Pinel, “irriflessivamente, senza interesse e senza motivo”. Poiché nella follia l’uomo scopre la sua verità, la guarigione è possibile a partire dalla sua verità e dal fondo stesso della sua follia.>> Foucault Michel, 1976, Storia della follia nell’età classica, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, pag 446. “amate l’architettura […]: dove si avvicendano giorno e notte, sole e luna, sereno e nuvole, vento e pioggia, tempesta e neve: dove ci sono vita e morte, splendore e miseria, bontà e delitto, pace e guerra, creazione e distruzione, saggezza e follia, gioventù e vecchiaia: l’architettura crea lo scenario della Storia, al vero, parla tutti i linguaggi” Gio Ponti, 1957, Amate l’Architettura, Società editrice Vitali e Ghianda , Genova. L’architettura non ammette follia; nemmeno nella più angosciosa delle carceri piranesiane o nel più strampalato dei quadri di Escher le scale, i muri, i pavimenti possono sfuggire alle leggi ferree del disegno o della gravità. Una condanna alla ragione rende loro impossibile uscire di senno, avvinti come sono in una sequenza di successive fondatezze che dal cantiere alla rovina rende sempre spiegabile e logico ogni passaggio, anche quando ogni senso comune sembra perdersi nel collasso della forma. La follia, al contrario, ha bisogno dell’architettura per scagliarsi contro i suoi muri, per contenere i suoi eccessi, per misurare la sua libertà e il suo dolore, la resistenza stessa dei corpi che la contengono, nella prigionia che ogni edificio, comunque, impone. Ne ha bisogno e la subisce, nelle stanze abbandonate di un vecchio manicomio che hanno contenuto mondi sconvolti e immaginari, – costrizioni di cemento che si intrecciano a costrizioni mentali – e che oggi, dopo l’esodo umano, grondano il dolore rimasto e trasmettono l’eco di pazzie, condannate a ospitarle, a osservarle per anni fin quasi a desiderarle, ma a non poterle condividere. Alberto Ferlenga. La fotografa Yvonne De Rosa ritrae uno dei tanti luoghi ex manicomi in cui non vi era cura ma abbandono dei pazienti. Nelle sue foto “Crazy God” è la scritta su un muro di uno dei pazienti che ci ha vissuto, un silenzioso grido di ribellione e “sragione”. Il progetto presentato a Londra nel 2007, pluripremiato, ci regala memorie attraverso scatti in un edificio in cui la razionalizzazione degli spazi non aiutava la vita dei pazienti, unico momento all’aria aperta era nella corte centrale quadrata, a fine struttura una chiesa obitorio, ciclo di spazi freddi e angoscianti. L’architettura dovrebbe essere funzionale e corretta, ha il dovere di proteggere e migliorare la vita delle persone fortunate, ma ha anche l’OBBLIGO di coadiuvare le terapie per i più deboli, soprattutto attraverso lo spazio. (s.c.)
Un’eco d’Eco

Che cos’è davvero ecologico oggi? Cos’è più ECO se non il lusso di una camomilla prodotta con un tempo e un metodo davvero “clever”? I mazzettini esposti sulla porta di questa signora pugliese ci ricordano che si può ancora pensare ad una poesia davvero ecologica, dove “less effort big result” fa vincere la SEMPLICITA’ sul sistema inquietante di alcuni mercati contemporanei.